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martedì 26 aprile 2016

542 - LA MAESTRA FASCISTA

Alle elementari mi è morta la maestra quando facevo la seconda, così hanno turnato cinque supplenti quell'anno, l'anno dopo in terza è arrivata una in gamba che ci faceva studiare come forsennati, contenti di farlo, perché dava dei cioccolatini ai più bravi, ma a fine anno le diedero l'avvicinamento a casa sua, allora visto che eravamo ancora senza maestra in quarta venne tirata fuori da qualche anfratto una anzianissima maestra fascista.
Lei era all'ultimo anno d'insegnamento, aveva insegnato ai tempi dei duce ed era arrivata fino agli anni 70, dai tempi delle camicie nere smanganellatrici ai tempi dei figli dei fiori peace&love.
Vecchissima, piegosissima, cattivissima come una merdissima, aveva una forza inaspettata, con mosse velocissime, con sempre tutti i muscoli in tensione nelle piegosissime braccia nonché uno sguardo feroce che si intravedeva da due fessure piegose chiamabili occhi; sembrava un'orientale, una trisnonna di Bruce Lee.
Non esisteva a quei tempi il telefono azzurro per i maltrattamenti sui minori.
Indossava alla mano destra un anello che finiva con una punta, e colpiva con un destro diretto sul cocuzzolo della testa ogni bambino che parlava e che le sembrava distratto, causando dolori lancinanti e contorsioni dal dolore dei malcapitati.
Era armata anche di una bacchetta con cui bacchettava quelli non attenti, un giorno la ruppe sulla schiena a una bambina che aveva sbagliato il compito, chiese se qualcuno poteva procurargli una nuova bacchetta, un tipo ripetente che si prendeva le botte più degli altri per arruffianarsela si offrì subito volontario.
Il mattino dopo le portò a scuola una bella bacchetta che aveva fatto lui ricavandola da un ramo leggero e flessibile, lei prese la bacchetta e senza dire un grazie cominciò a prenderlo a bacchettate, dopo averlo bacchettato per bene, contenta del funzionamento, lo ringraziò.
Aveva  fatto un cappello da somaro per chi prendeva brutti voti, con su scritto ASINO oppure metteva dietro la lavagna in ginocchio su dei grani di granoturco o su dei fagioli chi le stava antipatico.
Li lasciava per tanto tempo, anche un'ora in ginocchio sul granoturco, probabilmente neppure certi delle SS erano così crudeli con i bambini; inoltre se vedeva che il bambino punito resisteva tranquillo col granoturco la volta dopo cambiava e metteva i fagioli, per fargli più male, a uno che resisteva tranquillo senza piangere anche con i fagioli mise della ghiaia presa dal vialetto che portava alla scuola.
Io ero molto bravo a scuola in quel periodo, perciò mi lasciava stare, anzi qualche volta mi faceva delle carezze sulla nuca, come a un dobermann quando ha fatto il bravo.
Però una volta mi ero distratto e ridevo col compagno di banco, lei se ne è accorta e ci ha dato delle sberle in testa, poi ci ha presi e messi entrambi dietro la lavagna, in ginocchio sul granoturco. Ricordo faceva un male tremendo, quando si girò lo tirai via da sotto le ginocchia e lo misi intorno, in modo da non starci sopra, altrimenti non ci resistevo; invece il mio amico si fece tutto il tempo inginocchiato sopra, non so come faceva a resistere. Quando tornai a casa glielo dissi a mio padre che si arrabbiò e alla sera andò a protestare direttamente a casa della maestra, cosi da quella volta cambiò, metteva gli indisciplinati dietro la lavagna ma non più in ginocchio, tantomeno su granoturco o fagioli. Smise anche di dare pugni in testa con l'anello a punta. Però da un certo punto di vista fu peggio, perché si inventò una nuova tortura, se uno faceva casino tutta la classe non faceva la ricreazione, si doveva stare seduti al proprio posto e se era grave per lei il fatto successo proibiva anche di mangiare la merenda.
Era uno supplizio non potersi muovere e in più anche stare senza mangiare, per un bambino era tremendo.
Una volta che ci aveva bloccato così sui banchi senza poter mangiare io e il mio compagno di banco di nascosto, un pezzetto alla volta, ci siamo mangiati le nostre merende, ma uno del banco dietro vide il mio compagno mangiare e fece la spia dicendolo alla maestra, la maestra arrivò immediatamente, furiosa, il mio amico disse che non era vero ma lei gli prese la bocca ai lati e gliela strinse finché non la aprì, come fosse un cane quando gli danno la medicina che non vuole, gli guardò dentro in bocca, vide cha aveva ancora le briciole sulla lingua, lo prese per i capelli a cominciò a sbatterlo con la testa contro il muro, io terrorizzato di fare la stessa fine deglutii continuamente, per cancellare ogni traccia, quando si girò verso di me però non mi controllò in bocca, forse aveva paura di mio padre.
Era l'ultimo anno che insegnava, fecero una cerimonia alla fine del periodo scolastico consegnandole una medaglia d'oro per essere la maestra che aveva insegnato più a lungo, aveva battuto un qualche record di longevità d'insegnamento, un'orchestra classica venuta da Bologna nel salone della scuola suonò pezzi di musica classica in suo onore, osservandola mentre suonavano si notava in viso la sua gioia e guardando noi bambini la nostra noia.
Finito l'anno di scuola mio padre comprò una pianta da salotto e mi disse una mattina assolata di giugno di andare a portargliela a casa della maestra, forse era una sua maniera per scusarsi per averla rimproverata. Infastidito andai malvolentieri a piedi sotto il sole cocente, portando il pesante vaso della pianta incartata con carta da regalo, tanto che non vedevo bene la strada.
Così inciampai e cadde a terra la pianta, la raccolsi con la carta messa storta e metà terra che c'era nel vaso in meno. Girai giù per il vicolo dove abitava, suonai alla terza casa come mi avevano detto, che era la sua, ma venne fuori una donna e mi disse non abitava lì la maestra, abitava nel vicolo successivo
Con la pianta davanti gli occhi avevo sbagliato strada.
Ero stanco dal caldo e dalla fatica, non ne potevo più, avevo anche paura mi prendesse a legnate se vedeva la pianta malmessa per la caduta.
Al vicolo successivo vidi una donna fuori la casa dopo la maestra, le diedi la pianta dicendole che avevo suonato dalla maestra e non mi avevano aperto, se poteva dargliela lei.
Andai al bar a prendermi un ghiacciolo, tutto contento per lo scampato pericolo.
Però mio padre, quando seppe che non la avevo vista, il giorno dopo mi rimandò a salutarla, andai in bici, lei mi accolse gentile, aveva una casa buia che odorava di vecchio, con un marito alto e magro che sembrava un incrocio tra un maggiordomo e il custode di un museo, mi dissero che non avevano sentito suonare il giorno prima, se ero sicuro di aver suonato, mi inventai di dirle che forse con la pianta in mano avevo premuto poco il campanello e non aveva suonato, poi li salutai e me ne andai.
L'anno successivo in quinta venne una maestra bionda, grande e grossa.
Era una tipa moderna, arrivava con una auto spider, si sedeva sulla cattedra, ci raccontava le barzellette e prendeva un quotidiano alla mattina così ci faceva commentare le notizie. Ci divertimmo.
Fu come attraversare un secolo di differenza tra metodi d'insegnamento, in pochi mesi.

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